
La cosa che m’intriga di più, nel lavoro, sono i materiali. Cercarli, osservarli, raccoglierli ; scavare la terra, tra tane di rospi, insetti , radici, pietre e fossili, è una cosa che mi incanta da sempre.
Così pure andare dal rottamaio, vagare tra cubi di metalli compressi -grovigli di lavatrici – automobili – pentole – segnali stradali – attrezzi misteriosi, è un’avventura appassionante.
I pezzi che raccolgo lì diventano a volte strumenti di lavoro irrinunciabili, altre l’inizio di un lavoro, a volte un’ ossessione come quelle emerse dai sogni. E mi piace la polvere di pietre segate, tufo, peperino, basalto, gli avanzi delle cave, che quando li porti via sono tutti contenti. E poi macinare, setacciare, mescolare, provare, provare ancora. Mi piacciono gli attrezzi del lavoro, e i gesti ripetuti mille volte: dalla pala – alla ruota – al fuoco. Lo spirito della bottega, il ritmo -l’avventura- la sorpresa.
Dalle cose, dai materiali stessi, emana una gran forza e la loro disponibilità a cambiare di stato m’ incanta. Pure m’incantano le forme che ti suggeriscono, il loro mistero, la loro capacità di diventare forti, e fragili, di attraversare il fuoco e di splendere, anche di liquefarsi e distruggersi.
Un giorno un incidente di cottura mi ha fatto innamorare dei limiti estremi. E la permanenza in Giappone, con le cotture nell’Anagama, mi ha rinforzato nella necessità del fuoco, a legna, e a lungo. Portare i materiali al loro limite mi piace; il mio lavoro è così, la terra e poi tutte queste cose.